Come già altre volte è accaduto, negli spazi del Fringe ci accorgiamo spesso che qualcosa dentro e sotto al teatro più celebrato si muove sempre, in una dimensione meno percepita a causa delle minori occasioni e gli spazi che riesce a trovare per esprimersi, come un luogo nel quale farsi sorprendere, a volte, da spettacoli come questo teatro di movimento, col quale si comunicano sensazioni e concetti, presentato nella Sala Körper dalla compagnia Schuko: si tratta di “Coso”, progetto finalista al premio Equilibrio 2010 con la coreografia e l’interpretazione di Francesca Telli, Marta Melucci e Cristiano Fabbri.
Da un buio permeato di materia incerta, emerge il protagonista/persona qualunque fluttuante e mantenuto in precario equilibrio da due elementi/figure nere che lo accompagneranno quasi ovunque, diventandone a volte perfino l'ombra, altre la parte nascosta della materia stessa.
È un personaggio che ispira una ben strana armonia con il circostante: sembra non appartenervi, ed anzi respingerlo, così come viceversa la realtà respinge lui, mal adattandosi l’un l’altro, eppure riuscendo a rimanerci in armonia, appunto, grazie al suo assumere e mantenere in tensione corporea forme che contrastano con le apparenti leggi se non della gravità, sicuramente della logica.
“Siamo partiti dalla tradizione del Bunraku, e con molto spazio per l'improvvisazione abbiamo tracciato un percorso in cui il personaggio assume via via la sua identità, così come il rapporto fra lui e le figure: sempre indaffarato lui, anche se non porta mai nulla a termine, definite e precise invece loro, pronte a compiere anche azioni consequenziali”, spiegano i tre danzatori.
E del Bunraku, il teatro giapponese di marionette del XVII secolo, la loro performance ha conservato elementi chiari, oltre che la vera e propria presenza e divisione dei ruoli e degli spazi; gli antagonisti si trasformano in protagonisti, e l’azione avviene sempre conservando due livelli diversi (simmetriche le figure nere e circolare la figura maschile): i tre bravissimi danzatori dissimulano la loro presenza, si "avvertono" più che entrare in contatto, quasi si percepiscono ed influenzano i rispettivi spazi, fino a trovare il punto di intersecazione, il tutto giocato e fatto vivere con un gioco di luci che serve a creare il vuoto ed il pieno in maniera da aumentare i contrasti e destabilizzare la scena.
Nella scenografia, scatole, sedia e tavolo neri con bordi bianchi sono tutte le "cose" della vita quotidiana, uguali ed indistinte fra di loro, incuneandosi in mezzo alle quali si legge a volte anche la sorpresa sul volto di lui, per il sentirsi trascinato dentro e fuori dalle due figure, come se si accorgesse che c'è qualcuno o qualcosa, dall'esterno, che contrasta il suo spaesamento: una felice sintesi di corpo e identità, agita dai tre con grande abilità, e sicura leggerezza.
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